La vita extraterrestre esiste e la troveremo molto presto. Lo ha predetto Seth Shostak, astronomo del SETI e noto divulgatore scientifico, spesso intervistato per documentari e servizi tv di emittenti in lingua inglese. Pochi giorni fa, ha confermato in pubblico che, secondo lui, la prova dell’esistenza di vita intelligente su altri pianeti arriverà nel giro di due decenni.
Un’eventualità dunque davvero prossima. Shostak ne ha parlato durante una conferenza stampa a margine del Simposio “Nasa Innovative Advanced Concepts”, sulle nuove tecnologie dell’ente spaziale americano, organizzato presso la Standford University. Ad una precisa domanda, la risposta del ricercatore americano è stata proprio questa: “Penso che troveremo E.T. entro due dozzine di anni.”
Lo strumento per realizzare questa rivoluzionaria scoperta potrebbe essere l’Allen Telescope Array, la grande distesa di parabole puntate verso il cielo per captare segnali radio dallo spazio, situate nella contea di Shasta, in California. Progetto principalmente finanziato dal co-fondatore di Microsoft Paul Allen e promosso dal SETI– acronimo di Search for Extra Terrestrial Intelligence. Il programma di ricerca di forme di vita extraterrestri intelligenti è iniziato, ufficialmente, nel 1974, anche se il primo ad avere l’idea di indirizzare un’antenna verso due stelle lontane e di restare in ascolto fu, negli anni ’60, l’astronomo Frank Drake.
In quarant’anni di ricerche, le strumentazioni in uso al SETI sono diventate sempre più sofisticate. Eppure, quei radiotelescopi di ultima generazione, finora, non hanno intercettato nessun chiaro tipo di trasmissione proveniente da altri mondi. Tanto che, nel corso dei decenni, più volte il SETI ha rischiato di chiudere per mancanza di fondi. La rosea previsione di Seth Shostak è legata anche a questo fattore economico: solo se il progetto verrà costantemente finanziato, ha detto, il termine di 24/25 anni potrà essere rispettato.
Come già sostenuto in altre interviste, l’astronomo ha indicato le tre strade percorribili per giungere all’agognata meta: oltre che insistere nella ricerca di segnali elettromagnetici emessi da civiltà avanzate, bisognerebbe anche mandare sonde sulle lune del nostro sistema solare (come ad esempio su Europa, satellite di Giove) per individuare organismi semplici e scandagliare con le nostre più moderne strumentazioni gli esopianeti, sempre per scovare tracce di microbi e di altre forme di vita elementari.
Per questo, sarà molto utile il James Webb Space Telescope, il cui lancio è previsto nel 2018. “Uno dei tre cavalli risulterà vincente: a mio avviso, ci sono ottime possibilità che ciò avvenga nel prossimo ventennio”, ha annunciato Shostak. “Anzichè osservare poche migliaia di sistemi stellari, come si è fatto fino ad oggi, probabilmente presto ne osserveremo milioni. E un milione potrebbe essere il numero giusto per trovare qualcosa”, ha aggiunto. “Il punto di partenza è il dato che una stella su 5 ha almeno un pianeta potenzialmente in grado di ospitare la vita: una percentuale straordinariamente ampia. Ciò significa che nella nostra galassia ci sono svariate decine di miliardi di pianeti simili alla Terra.”
Così il “senior astronomer” del SETI ha dato peso e rilevanza alle dichiarazioni rilasciate di recente da altri eminenti scienziati. Nel 2012, ad esempio, era stata l’astrofisica britannica Jocelyn Bell Burnell ad ipotizzare- davanti alla platea dell’Euroscience Open Forum di Dublino- che nel giro di un secolo, al massimo, l’umanità potrebbe trovare segni di vita ovunque.
Concetto ribadito pochi mesi fa dalla collega Sara Seager. Durante un’audizione davanti alla Commissione Scienza, Spazio e Tecnologia della Camera a Washington, la docente di Scienze Planetarie al Mit di Boston ha espresso una certezza: la nostra sarà la generazione che troverà la vita su altri pianeti. Il lasso di tempo previsto oscilla tra i 10 e i 100 anni, a seconda degli sforzi convogliati nella ricerca, del denaro investito e forse anche della fortuna.
Ora Shostak restringe ancora di più il campo, citando esplicitamente forme di vita intelligente (dunque, non semplici microorganismi) e puntando tutto sui prossimi due decenni: un periodo davvero ridotto e soprattutto imminente. Viene da chiedersi dove questi ricercatori traggano tanto ottimismo. Sono stati illuminati dai risultati incoraggianti- ma obiettivamente non esaltanti- di Hubble, Kepler &Co? Oppure sanno qualcosa che noi non sappiamo?
SABRINA PIERAGOSTINI