Le Piramidi di Giza si ergono ancora possenti e maestose, alla periferia del Cairo. Il tempo le ha appena scalfite, senza togliere nulla alla loro imponenza e all’alone di mistero che le circonda. Quale era il loro vero scopo? Quando sono state edificate? Quale tecnologia è riuscita nell’impresa? Domande alle quali oltre due secoli di egittologia non hanno saputo dare risposte del tutto esaurienti.
LE PIRAMIDI NELLA PIANA DI GIZA, IN EGITTO
Ha tentato di rispondere a questi interrogativi Robert Bauval, l’ingegnere belga che in Egitto è nato e cresciuto e che ha sconvolto l’establishment accademico con le sue teorie rivoluzionarie- a partire dalla reale datazione di quei mirabili monumenti, a suo dire risalenti al 10.500 a. C. Chi vorrà, potrà ascoltare direttamente dalla sua voce come è arrivato a questa scoperta e gli ulteriori sviluppi delle sue ricerche: Bauval- famoso in tutto mondo per i best seller incentrati proprio alle Piramidi di Giza- il 28 settembre sarà infatti ospite del 2° Meeting Internazionale di Esobiologia di Segrate, alle porte di Milano.
Ma sono decine gli appassionati di archeologia che, scegliendo una strada alternativa, hanno messo in risalto i dubbi e le contraddizioni delle consuete spiegazioni scritte nei nostri libri di storia. Come ad esempio Simone Scotto di Carlo, anche lui ingegnere. Da neofita, armato di umiltà e determinazione, ha pensato di mettere a confronto le Piramidi di Cheope, Chefren e Micerino con altri straordinari edifici dell’antichità. Il primo è stato il Colosseo, uno dei vanti dell’ingegneria romana, costruito ben 2500 anni dopo le tre sorelle della piana di Giza. Eppure, da più punti di vista, l’Anfiteatro Flavio risulta decisamente inferiore.
Nel suo studio, pubblicato da vari siti ( eccone ad esempio un link: http://www.anticoegitto.net/piramidedicheope2.htm), Scotto di Carlo parte dalle dimensioni: se in origine la Grande Piramide era alta 146 metri, pesava 7 milioni di tonnellate e occupava un volume di 2,3 milioni di metri cubi, il Colosseo si fermava a poco più di 50 metri, per 0,25 milioni di tonnellate e 100 mila metri cubici. Il gioiello di Roma– ancora oggi nostro orgoglio nazionale- quasi scompare, davanti al gigante egiziano.
Secondo la tradizione, poi, la piramide attribuita a Cheope venne edificata in poco più di 20 anni, l’Anfiteatro in 8. Facendo le proporzioni, dice il ricercatore, se a costruire in Egitto fossero stati i Romani, ci avrebbero messo qualcosa come 2 secoli; o se preferite, gli Egiziani avrebbero impiegato solo 4 mesi per realizzare il Colosseo. “Questi semplici confronti, senza alcuna pretesa di precisione scientifica, riescono indubbiamente a dare indicazioni importanti sugli ordini di grandezza in gioco ed il confronto mostra che stiamo attribuendo agli Egizi una capacità ingegneristica, tecnica e costruttiva di gran lunga superiore a quella Romana, sebbene quest’ultima padroneggiasse tecnologie e mezzi più avanzati. È logico, razionale e scientificamente corretto continuare a percorrere questa strada?” si domanda Scotto di Carlo.
COSÌ DOVEVA APPARIRE, IN EPOCA IMPERIALE, IL COLOSSEO
Non solo. In un altro studio, il giovane ingegnere di Bacoli ha preso in esame le Sette Meraviglie del Mondo Antico, ovvero quelle costruzioni straordinarie che la cultura classica riteneva il non plus ultra del genio umano (vedi l’articolo http://www.tanogabo.it/anomalia_settima_meraviglia.htm ). L’elenco comprendeva i Giardini pensili di Babilonia, il Colosso di Rodi, il Mausoleo di Alicarnasso, il Tempio di Artemide ad Efeso, il Faro di Alessandria d’Egitto, la Statua crisoelefantina di Zeus ad Olimpia e per l’appunto la Grande Piramide.
La prima considerazione è forse banale, ma è importante a livello intuitivo: tutte queste magnifiche opere sono oggi scomparse-distrutte da guerre, incendi, terremoti o semplicemente dallo scorrere del tempo. Di esse, oggi, abbiamo solo le descrizioni tramandate nei testi antichi; in rari casi fortunati, sopravvive qualche rovina. Ciò vale per tutte, eccetto che per Giza: le tre piramidi sono ancora lì, pressochè perfette.
Eppure, sono le più antiche: secondo la datazione ufficiale, esse vennero erette tra il 2600 e il 2500 a.C., in piena età del Rame, mentre le altre costruzioni sono databili tra il VII e il III secolo a.C., nell’età del Ferro. Dunque, quando esistevano tecniche e strumenti di costruzione più evoluti. Ma ciononostante, nessuna è sopravvissuta. “Anomalia che appare ancora più evidente, se si pensa che la Grande Piramide di Cheope è la più imponente: è l’opera più alta, voluminosa, pesante e complessa tra le Sette meraviglie”, si legge nell’articolo.
E ancora: “Essa, progettata e realizzata per durare nei secoli e sfidare calamità di ogni genere, richiedeva conoscenze ingegneristiche di altissimo livello. Le moderne tecniche di progettazione strutturale utilizzano il concetto di tempo di ritorno, per valutare le potenzialità della struttura di resistere alle calamità naturali che si possono abbattere in quell’area. Chiedere ad un progettista di realizzare un edificio per un tempo di ritorno che comprenda 5 mila anni di eventi naturali, senza prevedere alcun intervento di manutenzione, significa metterlo in serissime difficoltà, ancora oggi. Ritenere che gli Egizi fossero in grado di fare tali considerazioni già nel 2600 a.C. significa attribuire loro capacità ingegneristiche addirittura superiori a quelle moderne.”
UN’IPOTETICA RICOSTRUZIONE DEL FARO DI ALESSANDRIA D’EGITTO
Altro elemento da prendere in considerazione: quei capolavori ancora oggi sorprendenti risalgono all’inizio della civiltà egizia, che secondo i nostri testi scolastici apparve al sorgere del III millennio a.C. Invece, le altre “meraviglie” vennero erette al culmine o verso la fine della storia dei popoli che le hanno prodotte. “Ciò indica un’inversione nello sviluppo delle capacità tecniche ed architettoniche degli antichi Egizi, cosa che appare unica tra i percorsi storici delle altre civiltà conosciute”, chiosa Scotto di Carlo.
“Gli Egizi sarebbero stati in grado, agli albori della loro civiltà ( il 9% della loro storia), di costruire l’opera megalitica più imponente e duratura dell’Umanità; inoltre, cessato quel determinato periodo storico, non sarebbero stati più in grado di edificare opere simili per il resto della loro storia.” Il paradosso è proprio questo: con il passare dei secoli, le maestranze egizie avrebbero perso le competenze necessarie per innalzare quei monumenti. Come l’autore dimostra in alcune tabelle, le uniche piramidi ben conservate sono le sette costruite prima del 2500; le successive sono fortemente danneggiate se non addirittura completamente sgretolate.
“L’indicazione è univoca: le piramidi più maestose e meglio conservate sono le più antiche. Dalla Quinta Dinastia fino alla fine della civiltà egizia, i Faraoni non stati in grado di costruire piramidi capaci di durare fino ai giorni nostri, pur avendole realizzate di dimensioni decisamente inferiori rispetto alle precedenti. Lo stato di conservazione è pessimo; addirittura alcune hanno la consistenza di semplici cumuli di pietre e sabbia, mentre altre sono completamente distrutte.
Quindi, pur avendo avuto periodi di sviluppo economico e politico importanti e pur avendo realizzato ancora opere meravigliose (basti pensare al complesso templare di Karnak o al Tempio di Abu Simbel), gli Egizi non sono stati più in grado per i restanti 2800 anni di impero di ripetere una sola opera lontanamente confrontabile – come dimensioni, mole, peso, difficoltà costruttiva e stato di conservazione- con le grandi piramidi del periodo della III e IV dinastia e in particolar modo con la piramide di Cheope.”
ECCO COSA RESTA DELLA PIRAMIDE DI SESOSTRI II, FARAONE DELLA XII DINASTIA
Conclude Simone Scotto di Carlo: “Questa raccolta di anomalie legate alla Settima Meraviglia del mondo antico ha lo scopo di porre in essere un dubbio ragionevole e legittimo: le piramidi attribuite ai Faraoni della III e IV dinastia potrebbero essere state costruite da un’altra civiltà precedente? Potrebbero i Faraoni aver avuto solo il merito di rinvenire e portare alla luce da millenni di parziale sepoltura dovuta alla sabbia del deserto le prime sette piramidi? Non essendo io uno storico nè un archeologo, mi limito a puntare con una piccola torcia un’esile luce su una strada che potrebbe portare ad una nuova fase di conoscenza della storia antica.”
Uno studio dettagliato, poco tecnico e molto diretto, che sottolinea le incongruenze delle teorie comunemente accettate dall’archeologia ufficiale. “Da sempre mi affascina la storia del mondo antico ed in particolare i misteri che la avvolgono”, spiega. “Ho iniziato ad appassionarmi all’argomento in un modo poco scientifico circa 5 anni fa attraverso i documentari che parlavano di OOPArt e di costruzioni megalitiche.
La scintilla che ha acceso la voglia di approfondire l’argomento sulla costruzione della Grande Piramide è stata la chiusura mentale di alcuni egittologi: partecipando alle discussioni su un gruppo di Facebook dedicato alle civiltà megalitiche, ho deciso di combattere la loro “fede” assoluta nella teoria classica sugli inizi della civiltà e sulla paternità delle grandi piramidi.
Nonostante la mia impreparazione sull’argomento, l’ignoranza di alcuni egittologi mi consolava e mi invogliava ad andare avanti: alcuni di loro non sapevano (e addirittura sostenevano il contrario) che all’epoca della costruzione della Grande Piramide gli Egizi non conoscevano la ruota e di conseguenza la carrucola e la gru.” Insomma, nel 2500 a.C., avrebbero potuto usare solo corde, cunei di legno e strumenti in rame. Tutto il resto sarebbe arrivato molto dopo.
LA GRANDE PIRAMIDE E LA SFINGE
L’idea di paragonare le Piramidi ad altre opere del passato è nata dall’esigenza di approfondire il discorso sulle origini delle civiltà. “Il metodo è molto semplice e può essere applicato da chiunque abbia un minimo di nozioni di storia e tanta voglia di leggere. Molte informazioni le prendo direttamente on-line da siti che ritengo credibili e autorevoli. Poi, prima di pubblicare, invio il materiale ad alcuni amici- esperti veri del settore- per una correzione almeno “macro” sui dati ed i concetti esposti. Lo scontro frontale con gli egittologi ha dato il la ai due articoli che oggi sono pubblicati su 11 siti, tra i quali ve ne sono anche alcuni importanti nel settore dell’ archeologia non ufficiale.”
E quella ufficiale, invece, come ha reagito? “Ha ignorato (e spesso deriso) questi 2 piccoli studi: infatti ho inviato decine di e-mail a professori di storia, archeologia ed egittologia in tutta Italia, ottenendo nel caso migliore una porta in faccia”. Simone Scotto di Carlo, che da qualche anno abita a Pinerolo, riserva invece parole di stima per l’architetto Fiorini, autore del libro Nel cantiere della grande Piramide. “Ho avuto l’onore di conoscerlo e devo ammettere che le sue ipotesi sono molto convincenti, il suo è il lavoro più completo sull’argomento. Con lui ho ancora oggi interessanti scambi di opinione: anzi, più che altro sono io che chiedo opinioni a lui…”
Ma se non sono stati i Faraoni della III e IV Dinastia a costruire i giganti della piana di Giza, allora chi è stato? La risposta per ora non c’è. “Io credo che sia giunto il momento di abbattere i dogmi dell’egittologia e dell’archeologia tradizionale. Questo non significa però abbandonarsi alla teoria degli Antichi Astronauti o credere ciecamente che Atlantide sia la soluzione a tutti i dubbi. Se così fosse, cadremmo dalla padella nella brace!”, scherza.
“L’Aristotelismo si è dimostrato un metodo di analisi capace di farci credere per quasi due millenni che la Terra fosse al centro dell’Universo; forte di quest’esperienza, la comunità scientifica dovrebbe liberarsi da ogni dogma precostituito e procedere nella ricerca di una nuova teoria capace spiegare OOPart e Megalitismo in modo più organico e completo. Pensiamo solo ai passi da gigante fatti nell’astronomia e nella fisica dello spazio quando ci si è liberati dal sistema tolemaico e si è adottato il sistema copernicano…
IL COMPLESSO MONUMENTALE DI GIZA DAL SATELLITE
Credo che gli stessi passi possiamo farli nella comprensione delle origini della nostra civiltà. Io non ho una vera opinione sulla costruzione della Grande Piramide, ma i dubbi sulla reale potenzialità degli Egizi dell’età del Rame di costruire un’opera immensa come la Piramide di Cheope restano grandi almeno come i monoliti in granito che costituiscono la camera del Re.”
SABRINA PIERAGOSTINI