Antropocene– ovvero l’era caratterizzata, condizionata, modificata dall’azione dell’uomo. La discussione è aperta tra geologi, climatologi, ecologisti: c’è chi pensa che essa sia già iniziata e chi invece ritiene che stiamo ancora vivendo nell’Olocene. Alcuni ricercatori, però, non solo sono sicuri che questa nuova fase della storia della Terra sia ormai in corso, ma ne hanno anche fissato il punto di partenza: la detonazione della prima bomba atomica nel 1945.
“Come ogni confine geologico, non è un indicatore perfetto: in realtà l’aumento delle radiazioni globali si è registrato nei primi anni ’50, quando si sono verificati i vari test nucleari. Ma potrebbe essere un modo ottimale per risolvere le molteplici evidenze dei cambiamenti planetari prodotti dall’umanità. Il tempo- e il dibattito- ce lo diranno”, ha spiegato Jan Zalasiewicz, docente del dipartimento di Geologia dell’Università di Leicester e presidente dell’ Anthropocene Working Group.
Si tratta di un organo formato da esperti interdisciplinari, sia scienziati che umanisti, sotto l’egida dell’International Commission on Stratigraphy, che si occupa di problematiche su scala globale relative alla stratigrafia, alla geologia e alla geocronologia. Il compito del gruppo di lavoro è elaborare una proposta per la ratifica formale dell’ Antropocene come unità ufficiale che modifica la scala temporale geologica.
Questa parola, che associa il termine ànthropos ( uomo, in greco antico) e kainòs (nuovo, sempre in greco), è stata coniata negli anni ’80 dal biologo Eugene Stoermer, ma è stata poi diffusa dal premio Nobel per la Chimica Paul Crutzen, a partire dal 2000, proprio per sottolineare i mutamenti provocati sul “sistema Terra” dall’intervento dell’uomo. Cambiamenti radicali che hanno alterato nel profondo ( e in peggio) il nostro pianeta e tutti concentrati nel giro di pochi decenni.
Lo afferma anche un recente articolo pubblicato da Science intitolato “Confini Planetari: guidare lo sviluppo umano su un pianeta che cambia”. Lo studio viene presentato, in questi giorni, al World Economic Forum di Davos, in Svizzera. Il team di ricercatori internazionali, dopo aver analizzato il cambiamento climatico, la perdita dell’integrità della biosfera e l’alterazione dei cicli biogeochimici, è arrivato ad una conclusione poco incorraggiante: la nostra civiltà ha superato 4 dei 9 cosiddetti confini planetari, dunque potremmo già essere sulla strada del non-ritorno.
“Stiamo correndo oltre i limiti biofisici che permettono alla specie umana di esistere”, è il campanello di allarme lanciato da Steve Carpenter, direttore del Madison Center di Limnologia dell’Università del Winsconsin, uno dei 18 esperti che hanno firmato l’articolo. Negli ultimi 11.700 anni- da quando ha avuto inizio l’Olocene– la Terra ha sperimentato una notevole stabilità. Eppure, nel corso di questi millenni è successo di tutto- siamo passati dall’età glaciale, alla nascita delle prime città, fino all’ era industriale.
Ma negli ultimi 100 anni, alcuni dei parametri che hanno reso l’Olocene un periodo così propizio allo sviluppo della civiltà sono drasticamente mutati- per colpa nostra, ovviamente. Carpenter si è focalizzato sul cambiamento dei cicli vitali delle sostanze chimiche all’interno dell’ecosfera, in particolare di due elementi essenziali per la vita organica- fosforo ed azoto. Entrambi sono utilizzati come fertilizzanti e l’incremento, esponenziale, dell’agricoltura industriale su larga scala ha prodotto un enorme aumento anche di queste sostanze chimiche nel nostro ecosistema.
“Abbiamo cambiato il ciclo di azoto e fosforo molto più profondamente di qualsiasi altro: una crescita nell’ordine del 200-300%”, ha detto il docente. “Pensiamo al carbonio: è aumentato solo del 10/20% e guardate quali sono stati gli effetti deleteri sul clima.” In questo caso, i danni peggiori li ha subìti l’acqua. L’aumento del fosforo, indica come esempio, è la causa principale della proliferazione delle alghe e del calo dell’ossigeno nel Lago Erie, mentre l’azoto finito nel Mississippi è responsabile della “zona morta” nel Golfo del Messico.
Al contrario, ci sono aree, nel nostro pianeta, che manifestano una grave carenza di queste sostanze chimiche, come ampi settori dell’Africa e dell’Asia. “Ci sono luoghi che sono davvero sovraccarichi di inquinamento da nutrienti, come il Winsconsin e l’intera regione dei Grandi Laghi. Invece, in altre zone, dove vivono miliardi di persone, c’è una grave mancanza di azoto e fosforo: molte popolazioni non ne hanno a sufficienza per coltivare il cibo di cui hanno bisogno”, ha confermato Carpenter. Insomma, l’ennesimo paradosso dei nostri tempi: uno squilibrio – stavolta chimico- che in eccesso produce inquinamento e in difetto produce carestie.
“Forse è possibile per l’umanità sopravvivere anche in condizioni differenti da quelle dell’Olocene, ma non ne abbiamo la sicurezza: visto che la civiltà si è sviluppata grazie a quelle condizioni, sarebbe saggio fare di tutto per conservarle”, ha chiosato il ricercatore americano. Ma potrebbe essere troppo tardi, se- come afferma l’Anthropocene Working Group– siamo già da tempo entrati in una nuova fase geologica. Entro il 2016, ipotizzano che sarà ufficialmente decretato l’inizio dell’Antropocene, l’era dell’Uomo. E visto i danni che abbiamo prodotto, non c’è molto da festeggiare.
SABRINA PIERAGOSTINI