Nuovi esami, nuove informazioni scientifiche: la verità è più vicina per Ata, la minuscola mummia scoperta nel 2003 in Cile e che da allora divide e sorprende i ricercatori. Quel corpicino, alto non più di 15 centimetri e con caratteristiche morfologiche stranissime, apparteneva ad una bimba del luogo nata con una serie di malformazioni uniche mai riscontrate finora. Per questo, la sua storia colpisce.
Che Ata- un nome derivato dal luogo del suo ritrovamento, il deserto di Atacama- non fosse una creatura aliena, ma un essere umano era già stato stabilito nel 2013 dal dottor Garry Nolan, l’immunologo americano della Standford University che ne aveva analizzato il DNA. Ne abbiamo parlato all’epoca sul blog (vedi l’articolo https://extremamente.it/2013/04/26/lalieno-di-atacama-e-umano-forse/) e nell’ebook edito da Mondadori “Misteri 2013”. Ora, insieme ad altri genetisti, Nolan ha approfondito le indagini aggiungendo ulteriori tessere al complicato puzzle.
Facciamo allora un passo indietro e ricostruiamo l’intrigante vicenda. Circa 15 anni fa, un venditore di cianfrusaglie- Oscar Muñoz- mentre cerca tra i rifiuti di una chiesa abbandonata a La Noria trova un involucro di stoffa. All’interno c’è qualcosa di incredibile: uno scheletro completo grande quanto una matita con la testa a cono, grandi orbite oculari, denti ben formati e solo dieci coppie di costole. La scoperta finisce sui giornali locali e poi su quelli internazionali; la piccola mummia, invece, passa di mano in mano e viene alla fine acquistata da un ufologo spagnolo, Ramon Navia-Osorio Villar.
Incominciano i test per appurare di cosa si tratti. Esclusa subito l’ipotesi del falso– non è un finto corpo assemblato- i medici spagnoli sembrano convinti che si tratti di un normalissimo feto abortito ed archiviano la questione come poco interessante. Sul web, invece, molti credono di vedere in quella creatura caratteristiche non umane, o meglio, la prova della presenza degli Alieni sulla Terra. Lo pensa anche il dottor Steven Greer, il noto ufologo americano che nel 2012 decide di girare un documentario su Ata dal titolo “Sirius”.
In quella occasione, Garry Nolan si offre di fornire una consulenza genetica. Ma i risultati non sono quelli che spera- e che diffonde via internet- il dottor Greer. Le analisi sul DNA della piccola mummia, infatti, stabiliscono che si tratta di un essere umano, nato da una donna cilena (lo dicono gli alleli) e con antenati europei, come molti abitanti del Sud America. Tuttavia, asseriscono anche che l’esserino aveva circa 6 anni quando è morto e che- a dispetto delle sue dimensioni ridottissime- non presenta le alterazioni genetiche tipiche del nanismo.
Lo stesso Nolan, intervistato per l’e-book, ammette che la questione va ancora chiarita e che servono esami più dettagliati per capire cosa abbia prodotto in quella creatura, forse vissuta un secolo fa, un’ insolita serie di anomalie morfologiche. Ora, dopo anni di studi, le risposte che cercava sembrano arrivate: nel DNA di Ata sono state trovate molte mutazioni genetiche probabilmente responsabili di quelle alterazioni ossee mai viste in precedenza in un essere umano.
Insieme ad altri esperti, Nolan ha infatti continuato a sottoporre a vari test i campioni prelevati dalla mummia ricostruendone quasi interamente il genoma. Con il collega Atul Butte, biologo coautore dell’articolo pubblicato sulla rivista Genome Research, ha così scoperto che era di sesso femminile e che risale ad una quarantina di anni fa. Ma soprattutto, la dottoressa Sanchita Bhattacharya, collaboratrice del dottor Butte, ha prima identificato 2 milioni e 700 mila varianti nel genoma, poi ha ridotto la lista a 54 mutazioni più rare .
I geni coinvolti sono 7. Da soli o combinati tra di loro sono responsabili della costruzione dello scheletro: le loro alterazioni producono nanismo oppure modifiche nel numero delle costole. Ma ci sono anche mutazioni sconosciute, mai emerse prima in correlazione con malformazioni scheletriche, e che potrebbero spiegare una delle caratteristiche più assurde del corpicino: lo scheletro è maturo, sembra quello di un bambino di sei anni, nonostante non ne abbia la normale misura. L’ipotesi dei ricercatori è che, a causa di tutte queste mutazioni genetiche, la bambina sia nata morta.
Ipotesi, dicevamo. Non c’è certezza proprio perché non esistono casi simili in letteratura medica e non ci sono altri studi da comparare. Le 54 rare mutazioni genetiche sono al momento, in teoria, tutte potenzialmente responsabili delle caratteristiche anomale di Ata e della sua morte. Il New York Times, uno dei giornali internazionali che ha dedicato spazio a questa notizia, ha chiesto il parere di esperti non coinvolti direttamente nello studio. Tutti sembrano d’accordo: non c’è una singola scoperta in grado di giustificare l’aspetto bizzarro della mummia.
Eppure, capire cosa è successo un tempo alla povera bimba è importante: potrebbe servire a far luce sulle deformità scheletriche che si riscontrano oggi. Bisognerebbe ricorrere a cellule staminali, contenenti ciascuna delle 54 mutazioni, farle crescere in laboratorio e vedere quali modifiche si determinano nel loro sviluppo. Inoltre, bisognerebbe trovare ed esaminare gli individui che, attualmente, manifestano alcune delle caratteristiche mostrate dall’ esserino di Atacama, per metterne a confronto le alterazioni genetiche. In particolar modo, nei bimbi nati morti.
Ogni anno, ricorda il quotidiano, ce ne sono 24 mila soltanto negli Stati Uniti, ma di prassi su di essi non si effettuano esami genetici. In assenza di una banca-dati con il DNA dei feti, è impossibile dire se Ata sia stato un caso unico nella storia oppure altri bambini, ancora oggi, nascono morti per patologie identiche o simili alla sua. Anche se- aggiungiamo noi- malformazioni tanto sconvolgenti non passerebbero inosservate e molto probabilmente se ne avrebbe notizia, nel mare magnum del web dove si scrive di tutti e di tutto.
Caso chiuso, dunque? Non del tutto. Le mutazioni genetiche sono eventi molto poco frequenti e spesso una sola basta per determinare la morte prematura dell’organismo. Invece questa bimba ne ha manifestate addirittura 54- tutte rarissime, se non addirittura sconosciute- contemporaneamente. Ma anziché essere subito eliminato, un feto così compromesso ha continuato a svilupparsi, seppur in modo tanto anomalo. Ata, insomma, nasconde ancora un piccolo mistero.
SABRINA PIERAGOSTINI