Qualcosa sta cambiando nel mondo della scienza, la sensazione è sempre più evidente. L’ultima riprova è il nuovo approccio per cercare di comprendere uno dei punti ancora oscuri che riguardano l’essere umano: come nasce la coscienza? Un interrogativo che fino al XX secolo è stato accuratamente evitato, quasi fosse un tabù o comunque un argomento inadatto per scienziati seri. Ora invece sempre più ricercatori accademici cercano di comprendere questo mistero insito nella mente umana.
LA SCIENZA NON SA SPIEGARE COME SI FORMA LA COSCIENZA
Affronta questa tematica un articolo pubblicato su The Conversation a firma di Philip Goff, professore associato di filosofia all’Università di Durham e autore di un libro dal titolo provocatorio, “Galileo’s Error: Foundations for a New Science of Consciousness”, ovvero “L’errore di Galileo: fondamenti per una nuova scienza della coscienza”. Goff riconosce che spiegare come possa nascere qualcosa di così complesso da un ammasso di materia grigia è la sfida più difficile con la quale biologi, neuroscienziati e filosofi come lui si devono confrontare. Sappiamo come è fatto il nostro cervello- da 100 miliardi di neuroni, ognuno dei quali collegato ad altri 10 mila, per un totale di un trilione di connessioni nervose. Ma ancora non capiamo come si producano quelle emozioni, quei pensieri, quelle sensazioni che ci rendono umani .
Infatti finora nessuno è riuscito a spiegare come fanno degli stimoli elettrici e dei segnali chimici che passano da una cellula cerebrale all’altra a tramutarsi nella sensazione di paura o nel concetto di rosso. «C’è il sospetto crescente che i metodi scientifici convenzionali non saranno mai in grado di rispondere a queste domande», scrive Goff, per il quale pensare di poter vincere questa sfida continuando ad esaminare la struttura fisica del cervello è sbagliato. «Il problema della coscienza è radicalmente diverso rispetto tutti gli altri problemi scientifici. Una ragione è che la coscienza non è osservabile. Non si può guardare nella testa di qualcuno per vedere i suoi sentimenti e le sue esperienze. Se ci basiamo solo su quanto possiamo osservare da una prospettiva esterna, non avremo alcun elemento per postulare cosa sia la coscienza», sostiene il filosofo.
I NEURONI TRASMETTONO I SEGNALI IN FORMA ELETTRICA E CHIMICA
Certo- ammette- la scienza si confronta spesso con elementi inosservabili, come ad esempio gli elettroni. Ma anche se non si vedono, se ne possono misurare e prevedere le manifestazioni. Non è cosi per la coscienza: sappiamo che esiste non in virtù di esperimenti di laboratorio, ma solo grazie alla nostra percezione personale. «Quando abbiamo a che fare con dei dati, possiamo fare esperimenti per verificare se ciò che osserviamo collimi con la teoria prevista. Ma con la coscienza questa metodologia fallisce. Il massimo che gli scienziati possono fare è mettere in relazione esperienze non osservabili con processi osservabili», dice Goff. In questo modo, ad esempio, con un esame neurologico del cervello, si può stabilire che la sensazione (invisibile) di fame è legata ad un’attività (visibile con delle strumentazioni adeguate) dell’ipotalamo. Ma la somma di correlazioni di questo tipo non porta ad una teoria della coscienza: sapere come non aiuta a capire perché questo genere di sensazioni siano collegate all’attività cerebrale.
Secondo il professore di Durham, tuttavia, non possiamo sorprenderci del fatto che il nostro metodo scientifico standard non funzioni quando ha a che fare con la coscienza, perché la scienza moderna è stata esplicitamente progettata per escluderla. E a deciderlo è stato proprio il padre del moderno metodo scientifico, ovvero Galileo Galilei. «Prima di lui, i ricercatori credevano che il mondo fisico fosse dotato di qualità come colori, sapori, profumi. Galilei invece voleva una scienza esclusivamente quantitativa del mondo fisico e per questo propose che quelle qualità non facessero realmente parte del mondo fisico, ma si trovassero solo nella coscienza, che stabilì fosse al di fuori del dominio della scienza».
IL CERVELLO SI “ACCENDE” A SECONDA DEGLI STIMOLI RICEVUTI
Un’idea che si è mantenuta fino a giorni nostri e che consente di individuare correlazioni tra i processi quantitativi del cervello che possiamo vedere e le esperienze qualitative che non possiamo vedere, senza alcuna possibilità di comprendere come metterle insieme. Per Philip Goff, dunque, bisogna cambiare radicalmente approccio partendo dal presupposto che la scienza non ci dice, realmente, cos’è la materia, come postulato un secolo fa dal filosofo Bertrand Russel e dallo scienziato Arthur Eddington. «Può sembrare bizzarro, ma sembra che la fisica possa solo dirci il comportamento della materia.
Ad esempio, che possiede una massa e una carica elettrica, caratterizzate in termini di comportamento- attrazione, repulsione e resistenza all’accelerazione. Ma la fisica non dice nulla riguardo a ciò che i filosofi chiamano “la natura intrinseca della materia”, ovvero quello che è effettivamente. Ne deriva, allora, che c’è un’enorme falla nella nostra visione scientifica del mondo- la fisica ci lascia completamente al buio per quanto riguarda la vera natura della materia. Il proposito di Russel ed Eddington era di riempire quel buco con la coscienza».
Con il risultato di recuperare un nuovo tipo di panpsichismo, il pensiero antico che considerava la coscienza una componente fondamentale e onnipresente del mondo fisico. Nella sua versione moderna, ha perso le sue originarie caratteristiche mistiche: non c’è nulla di soprannaturale o di spirituale, insomma, ma solo sostanza reale che può essere descritta da due diversi punti di vista- quello della fisica, che la descrive dall’esterno, e quello della coscienza, che la vede dall’interno. «Ciò significa che la mente è materia e che persino le particelle elementari mostrano un’incredibile forma basilare di coscienza», dice il professor Goff.
SERVE UN NUOVO APPROCCIO PER SPIEGARE COME NASCA LA COSCIIENZA
Un’affermazione che sorprende, ma il professore invita gli scettici a pensare all’eventualità che la coscienza possa variare di complessità. In natura è così: quello che percepisce un cavallo è meno sofisticato rispetto all’esperienza umana, ma lo è di piú rispetto, ad esempio, a quel che prova un coniglio. Man mano che gli organismi diventano più semplici, ad un certo punto la coscienza può venire meno, ma tuttavia- afferma lo studioso- è anche possibile che diminuisca progressivamente senza mai scomparire del tutto. Se così fosse, allora anche gli elettroni avrebbero una minuscola coscienza.
Il panpsichismo gli appare così come il modo più semplice per integrare la coscienza con la visione scientifica, come la teoria che meglio adatta l’una all’altra, evitando di separare corpo e mente come due entità distinte. Ecco perché, prosegue il filosofo britannico, è il metodo che stanno ora abbracciando molti degli neuroscienziati più in vista in quanto lo considerano la via più adeguata per costruire una nuova scienza della coscienza. «Io sono ottimista sul fatto che un giorno avremo una scienza della coscienza, ma non sarà scienza come la conosciamo oggi. Quel che serve è una rivoluzione ed è già sulla buona strada».