Sull’opportunità di mandarlo, la comunità scientifica è divisa. Ma è in disaccordo anche su come scriverlo. Stiamo parlando del messaggio da inviare nel cosmo- destinataria, una specie aliena in grado ovviamente di riceverlo e di capirlo. A riaprire la discussione è la proposta elaborata da un team di ricercatori che affrontano varie questioni: come comunicare con creature intelligenti diverse da noi? A chi spedire la missiva spaziale? Quando è il momento migliore per farlo? E ancora: siamo proprio sicuri che sia la mossa più azzeccata?
IL MESSAGGIO SPAZIALE INVIATO DA ARECIBO NEL 1974
L’articolo, pubblicato online su arXiv.org e dal titolo “Un faro nella galassia: aggiornare il messaggio di Arecibo per potenziali progetti FAST e SETI”, prende spunto dal noto precedente: il testo lanciato verso sconosciute civiltà extraterrestri dal radiotelescopio di Porto Rico (ora in disuso) nell’ormai lontano 1974. Un testo in codice binario, nel quale l’astronomo Frank Drake illustrava biologia e chimica della Terra. Analogamente, l’upload del messaggio include concetti base di matematica e fisica, le informazioni sulla struttura del nostro pianeta, la posizione del sistema solare, un’immagine stilizzata degli esseri umani e del nostro DNA, oltre che le coordinate per spedire una risposta al mittente.«Lo scopo era inviare il maggior numero possibile di dati sulla nostra società e sulla specie umana nel messaggio più breve possibile. Con l’avanzare della tecnologia digitale, possiamo fare molto meglio rispetto al 1974», ha spiegato al sito Scientific American l’ autore principale dello studio, Jonathan Jiang del Jet Propulsion Laboratory della NASA.
Tutti i messaggi interstellari sono basati sulla matematica- il linguaggio comune dell’universo. D’altronde, per poter captare questi segnali bisogna prima aver costruito un radiotelescopio: anche gli Extraterrestri devono masticare un po’ di fisica se vogliono instaurare una conversazione con noi, insomma. Ma il punto è: come codificare il messaggio? Non si possono usare i numeri, dal momento che il modo in cui li scriviamo è del tutto arbitrario. Ecco perché il nuovo progetto prevede di realizzare una bitmap, ovvero un disegno che utilizza il codice binario per formare un’immagine pixelata.Esattamente come venne fatto da Drake. Ma non senza inconvenienti: quando l’astronomo inviò una bozza del testo ai suoi colleghi- inclusi alcuni premi Nobel- nessuno riuscì a capirne il contenuto. Solo uno comprese che si trattava di una bitmap. Dobbiamo quindi sperare che gli ET siano un po’ più svegli delle nostri menti scientifiche più brillanti…
IL NUOVO TESTO IN BITMAP
Pure così, però, non è detto che il messaggio sia chiaro a tutti gli abitanti dello spazio: potrebbero avere un modo diverso di descrivere la realtà e potrebbero non comprendere il disegno. «C’è così tanta cultura incorporata nel modo in cui rappresentiamo gli oggetti», spiega infatti Douglas Vakoch, presidente di METI International, l’organizzazione no profit dedita alla ricerca su come comunicare con altre forme di vita. «Significa che dovremmo escludere le immagini? Assolutamente no. Significa che non dovremmo presumere ingenuamente che le nostre rappresentazioni saranno intelligibili». Per realizzare il loro disegno in pixel, Jiang e compagni si sono ispirati al Cosmic Call lanciato nel 2003 dal telescopio di Yevpatoria, in Ucraina, basato su un alfabeto bitmap creato dai fisici Yvan Dutil e Stéphane Dumas.
Dopo una trasmissione iniziale di un numero primo per contrassegnare il messaggio come artificiale, il segnale di Jiang utilizza quell’alfabeto per introdurre il nostro sistema numerico e la matematica di base. Vengono poi presentati, nello stesso modo, gli elementi dalla tavola periodica nonché la struttura e la chimica del DNA . Non mancano uno schizzo di due figure umane (maschio e femmina), una mappa della superficie terrestre, uno schema del nostro sistema solare, la radiofrequenza che gli Alieni dovrebbero usare per risponderci e le coordinate del nostro sistema solare nella galassia rispetto alla posizione degli ammassi globulari. Si tratta di gruppi stabili composti da migliaia di stelle che dovrebbero essere noti a qualsiasi specie extraterrestre in qualsiasi parte della galassia. Secondo il dottor Jiang, a spedire il messaggio dovrebbe essere l’Allen Telescope Array del SETI, in California, oppure il Five-hundred-meter Aperture Spherical radio Telescope (FAST) in Cina, il più grande del mondo.
IL GIGANTESCO RADIOTELESCOPIO CINESE FAST
Entrambi, finora, sono solo in grado di ricevere, non di trasmettere. Attrezzarli per consentire l’invio non è un’impresa di poco conto, ma non è impossibile. Sarebbero già in corso contatti con i responsabili scientifici di FAST per realizzare il progetto, che dovrebbe aver luogo in data da destinarsi ma comunque tra marzo e ottobre, quando la Terra si trova in un angolo di 90 gradi rispetto al Sole e al centro della Via Lattea- obiettivo della trasmissione, vista l’alta densità di stelle e quindi anche di pianeti potenzialmente abitabili. Tutto a posto, allora? Non proprio. Perché resta l’ultimo interrogativo al quale nessuno sa rispondere: è opportuno lanciare nel cosmo un messaggio che contiene così tante informazioni su di noi? E se a raccoglierlo fosse una razza crudele e sanguinaria? Un timore avanzato anni fa dal grande astrofisico Stephen Hawking e tuttora condiviso dall’illustre collega Michio Kaku.
IL TARGET DEL MESSAGGIO SARÀ IL CENTRO DELLA GALASSIA
«Io non vivo nella paura di un’orda di invasori, ma altre persone sì. E il non condividere questa paura non rende le loro preoccupazioni irrilevanti», afferma Sheri Wells-Jensen, professoressa associata di inglese alla Bowling Green State University ed esperta di questioni linguistiche e culturali associate alla progettazione di messaggi interstellari. «Tuttavia, il solo fatto che sia difficile ottenere un consenso globale su cosa inviare -o se sia il caso di inviarlo- non significa che non dovremmo farlo. È nostra responsabilità impegnarci e includere quante più persone possibile», chiosa. Anche perché con tutte le emissioni elettromagnetiche che produciamo da svariati decenni, se un ET carnivoro vuole trovarci sa già dove siamo. «Il nostro è un invito a tutte le persone sulla Terra a partecipare a una discussione sull’invio di questo messaggio. Speriamo, pubblicando questo documento, di poterle incoraggiare a pensarci», dice Jonathan Jiang. Il primo contatto sarebbe un evento epocale e non possiamo rimanere fermi ad aspettare, in attesa di un segnale che potrebbe non arrivare mai.