Il calice di San Giuseppe? C’è. Il serpente di Mosè? Anche. Il coperchio dell’Inferno? Pure. E poi la pietra guaritrice, il cammeo delle stelle, l’abito di Atlantide… Dite un oggetto a caso- magico, misterioso, divinatorio o sacro- e lo troverete, magari a pochi chilometri da casa vostra. Non c’è angolo d’Italia che non conservi un cimelio antico, dalle caratteristiche enigmatiche e spesso sconosciuto al grande pubblico.

“Gli oggetti sono testimonianza diretta del nostro passato, ognuno di loro ha un’anima e ci racconta una fetta di vita dei nostri antenati. Ci parlano di guarigioni miracolose, di potere soprannaturale, di presenze divine. Spesso sono oggetti inspiegabili e grazie ad essi capiamo che esiste una parte della nostra storia ancora oscura, ancora da scoprire”, dice Isabella Dalla Vecchia che ha descritto in un libro alcuni dei reperti più stravaganti nei quali si è imbattuta nelle sue ricerche.

Con il portale “Luoghi Misteriosi”, creato insieme a Sergio Succu, ha girato in lungo e in largo l’Italia per testimoniare le peculiarità storiche, archeologiche e religiose del nostro Paese. La sua curiosità instancabile l’ha portata a realizzare questa raccolta che annovera decine di stranezze e di bizzarri manufatti custoditi in musei, palazzi, chiese e santuari sparsi sul nostro territorio. “Oggetti misteriosi, inspiegabili e magici in Italia” è una sorta di vademecum, suddiviso per regioni, adatto al viaggiatore più curioso.

Con un po’ di stupore, ho così scoperto che il Santo Graal, inseguito da manipoli di cavalieri erranti in capo al mondo, ce l’abbiamo noi. Anzi, a dire la verità, ne abbiamo più d’uno… “Esatto, ce ne sono vari: così abbiamo ancora la possibilità di trovare quello autentico!”, conferma l’autrice. “In particolare a Mantova, nella Basilica di Sant’Andrea, troviamo i Sacri Vasi: due ampolle che conterrebbero il preziosissimo sangue di Gesù, raccolto sulla croce dal centurione Longino.

Ebbene, nel Roman de Perceval, il primo testo che cita il Graal, composto dal poeta Chrètien de Troyes, si dice che la coppa dell’Ultima Cena e la Lancia di Longino si trovano nello stesso luogo. E la lancia in effetti si trova metaforicamente qui, perchè la tradizione vuole che il soldato romano sia stato martirizzato proprio a Mantova. Una volta, insieme a lui,  c’era dunque la sua lancia,  poi passata di mano in mano, fino ad essere sottratta da Hitler.”

Insomma, fede, storia e leggenda che si intrecciano. Eppure ancora oggi, i Sacri Vasi sono oggetto di devozione. “Si trovano all’interno di un’arca dorata, chiusa da 12 chiavi che sono in custodia a persone di prestanza civile e religiosa”, mi spiega Isabella Dalla Vecchia. “Si riuniscono una volta all’anno, il Venerdì Santo, aprono questo meccanismo molto complesso e mostrano i vasi ai fedeli durante una cerimonia molto sentita.”

Ma perchè il Graal ha avuto così grande rilievo nel mondo cristiano? “È simbolicamente importante, anzi, è l’oggetto più importante del mondo perchè rappresenta il contenitore dell’immortalità, della vita eterna. Il nostro corpo stesso, in fondo,  è un graal, perchè contiene l’anima immortale.”

Facciamo un salto di un centinaio di chilometri ed eccoci a Berceto, in provincia di Parma. Anche il Duomo di questo paesino emiliano vanta il suo Graal, ritrovato sepolto davanti all’altare maggiore poco più di 40 anni fa. In questo caso, si tratta di un calice vetro, appartenuto- secondo la tradizione- ad un monaco francese. Un oggetto di splendida fattura, rimasto incredibilmente intatto nonostante i secoli e nello stesso tempo carico di enigmi.

“Bisogna leggere i simboli: è stato trovato in una chiesa nella quale la lunetta del portale mostra Gesù in croce con gli occhi aperti- una raffigurazione molto rara- e un fanciullo mentre raccoglie il suo sangue con un calice. Di solito, questo era il compito degli angeli o di altre eteree figure, invece in questo caso lo fa una persona fisica. Quindi la lunetta descrive un’ipotetica presenza del Graal all’interno della chiesa.” A meno che non sia invece la coppa conservata a Lanciano. Oppure,  il Sacro Catino di Genova. Non c’è che l’imbarazzo della scelta…

Insomma, altro che ciclo bretone. I luoghi e gli oggetti sembrerebbero molto italici. Basti pensare ad uno dei dettagli di questa famosa saga: ovvero la Spada nella Roccia. L’arma originale, dalla quale si sarebbe poi sviluppata la leggenda, si troverebbe vicino a Siena, nella Rotonda di Montesiepi – una chiesa a pianta circolare, proprio come la Tavola di Re Artù… In questa cappella esiste veramente una spada immersa fino all’impugnatura in una pietra: recenti esami hanno confermato che è antecedente al XII secolo.

A conficcarla sarebbe stato un cavaliere divenuto poi eremita e santo, Galgano Guidotti, vissuto in Toscana tra il 1148 e il 1181. Il libro spiega nel dettaglio la vicenda e sottolinea la singolare assonanza  tra il nome Galgano e quello del cavaliere della Tavola Rotonda Gawain. “Le nostre leggende sono state forse così affascinanti da influenzare i poeti del tempo?”, si domanda la scrittrice. “È ipotizzabile che i vari autori siano stati tanto colpiti dal santo cavaliere Galgano da volerlo rendere eterno. Lo ricordiamo infatti ancora oggi, immortale, a riprova che il Graal, forse, lo ha effettivamente trovato.”

Ma in questa guida ragionata degli oggetti più insoliti ed inspiegabili presenti sul territorio italiano compaiono anche delle vere e proprie chicche. Come il cosiddetto “Uovo dell’ Eclisse” di Sestino, vicino ad Arezzo: un vero uovo, deposto da una gallina, che reca sul guscio il disegno in rilievo del sole con tanto di raggi. “Evidentemente non siamo solo noi uomini ad avere un forte collegamento tra mente e corpo. Questa gallina, spaventata dall’eclissi, non potendo muoversi ha impresso l’immagine che la terrorizzava. Sembra incredibile, ma sempre a Sestino esisteva un altro uovo, con impressa un’eclissi di Luna! Questo però è andato perduto.”

Di stranezza in stranezza, non possono mancare nell’elenco gli strumenti, costruiti in un remoto passato o in epoche più recenti, il cui scopo è ancora ignoto. Come, ad esempio, il Disco di Forlì , coperto da simboli e scritte indecifrabili disposti a cerchi concentrici. Il manufatto romagnolo in argilla potrebbe risalire al XVI o al XVII secolo: per alcuni si tratterebbe di uno strumento magico, legato forse al mondo dell’occultismo; per altri, avrebbe avuto invece un uso in ambito astrologico.

Molto più antico, è il Piombo di Magliano (attuale località toscana, un tempo l’antica Heba).  Trovato in una necropoli etrusca del V secolo a.C., inciso su entrambi i lati con scritte a spirali, recherebbe indicazioni rituali. A renderlo singolare, è la grande somiglianza con il più famoso Disco di Festos, scoperto sull’isola di Creta, in Grecia, e non ancora decifrato. Potrebbe esserci un legame tra i due reperti? E questo legame potrebbe dimostrare la provenienza del misterioso popolo etrusco dall’Asia Minore?

Altro oggetto enigmatico è poi il “Globo di Matelica”, una sfera quasi perfetta di marmo bianco conservata nel museo della cittadina marchigiana e studiato nel dettaglio da Danilo Baldini. La sua superficie è incisa con cerchi, linee, fori e lettere in greco antico. Probabilmente, si tratta di una perfetta replica in miniatura della Terra, suddivisa dall’ equatore: fungeva da orologio e da calcolatore astronomico per stabilire lo scorrere del tempo, le stagioni e il moto astrale. Insomma, era una specie di “computer di pietra” che non ha eguali in tutta la storia dell’archeologia.

Risale invece al  XIX secolo l’Elettromotore Perpetuo, conservato nel Museo Civico d’Arte di Modena. Già il nome è un programma. “Il moto perpetuo ha sempre affascinato l’uomo, alla ricerca di energia illimitata. In Italia abbiamo una macchina che ci va molto vicino ed è stata costruita da Giuseppe Zamboni, l’inventore delle pile a secco” spiega la ricercatrice milanese. “ Zamboni ha avuto l’idea geniale di sfruttare una energia presente in forma gratuita e illimitata sul nostro pianeta, ovvero il magnetismo. Questo elettromotore in sostanza è un pendolo che oscilla grazie alla repulsione elettromagnetica da polo positivo a polo negativo e viceversa. Purtroppo non è stato impiegato a scopo industriale, è rimasto un modello in ambito accademico, ma è auspicabile che in futuro qualcuno riesca a sviluppare questa invenzione.” L’oggetto, costruito per puro divertimento,  funziona con due pile a secco: in quasi 200 anni, è stato necessario sostituirle una volta sola.

La tecnologia del passato lascia increduli. Ma che dire di una possibile testimonianza, risalente ad epoche preistoriche, di un evento astronomico straordinario? Tale sarebbe la Stele di Caven, una pietra ovale trovata in Valtellina, a Teglio, e recante uno strano graffito formato da figure geometriche- tre cerchi, un triangolo, linee rette e linee curve. “A prima vista, sembra rappresentare una Dea Madre o comunque una figura antropomorfa. Ma già Adriano Gaspani , ricercatore presso l’Osservatorio Astronomico di Brera, l’aveva invece collegata all’immagine di una cometa. La prova definitiva, però, è arrivata solo pochi mesi fa. Grazie al Max Planck Institut siamo riusciti a vedere nel dettaglio la cometa Ison  appena dopo la rottura del nucleo in due subnuclei dai quali  si sarebbero formate come delle ali.

Queste scie, insieme alla coda, presente notoriamente in tutte le comete, le hanno dato un aspetto simile a quella di una colomba o di un araba fenice. Se confrontiamo questa foto di Ison alla Stele di Caven, la somiglianza è sconvolgente: sono identiche, anche sulla pietra compaiono due ali e una coda.  Noi però siamo riusciti ad osservare la Ison solo con modernissimi telescopi: come facevano 5 mila anni fa i nostri antenati a vedere una cometa così nel dettaglio? Avevano utilizzato qualche strumento non convenzionale? Oppure arrivò talmente vicino alla Terra da essere visibile nei particolari? Non lo sappiamo. Certo è che a volte dobbiamo dare ascolto anche ai nostri sentimenti e alle sincronicità”, conclude la sua spiegazione l’autrice.

E non è finita. Sempre in Italia, nel Nord-est, sono state rinvenute decine di tavolette di argilla o di pietra, grandi quanto un cellullare,  note con il nome tedesco “Brotlaibidolen” (Idoli a forma di pagnotta), perchè ne sono state trovate anche in Germania e nel centro Europa.  Risalgono all’età del bronzo e recano incisioni geometriche ricorrenti, ma sempre diverse: non c’ è una tavoletta uguale ad un’altra. E gli archeologi non sanno quale fosse il loro uso. “Sì, ci sono oggetti incredibili che affiorano di giorno in giorno”, conferma Isabella Dalla Vecchia. “Ad esempio, un dodecaedro appena trovato nel Lazio, oppure la Pintadera sarda, forse un calendario solare, o ancora gli omphalos a forma di pera trovati a Pisa: sono talmente enigmatici che ancora non sono riuscita ad approfondire lo studio, perchè non trovo nulla con il quale confrontarli.”

Ma di certo Isabella non si fermerà. Altre decine di oggetti strani, incomprensibili, unici, attendono di essere interrogati, nella speranza che possano raccontare la loro storia. Chissà quanti devono ancora essere scoperti. La sensazione è che molto del nostro passato resti oscuro. “Certo, altrimenti non esisterebbero tutti questi oggetti inspiegabili, oggetti che ci fanno impazzire, che ci tolgono il sonno, che ci riempiono di domande. Vogliamo capire a cosa servivano e perchè, dopo centinaia o migliaia di anni, ce li siamo ritrovati in mano.”