Controverso, discusso, affascinante – proprio come la storia incredibile che ha segnato la sua vita privata e professionale. Jean-Pierre Petit è uno degli scienziati più importanti al mondo, con un curriculum di altissimo livello: ingegnere aeronautico e astrofisico, ha lavorato per l’Osservatorio di Marsiglia, è diventato ricercatore senior del CNRS, il Centro Nazionale di Ricerca Scientifica francese, ha scritto articoli per riviste specializzate sulla meccanica dei fluidi, sulla teoria cinetica dei gas, sulla fisica del plasma applicata alla magnetoidrodinamica (concetti che ai comuni mortali fanno venire il mal di testa solo a leggerli) e ha creato un nuovo modello di interpretazione dell’universo alternativo alla Relatività di Einstein. Roba da premio Nobel per la fisica. Se non fosse per un dettaglio- in questo caso, non trascurabile: Petit sostiene che tutte queste nozioni non sono farina del suo sacco, ma gli sono state rivelate dagli Alieni provenienti dal pianeta Ummo…
Dobbiamo fare un salto di oltre 50 anni indietro nel tempo. Verso la fine degli anni ’60 del secolo scorso, un ingegnere spagnolo, Josè Jordan Peña, affermò di aver visto atterrare un UFO che recava sulla sua superficie un segno particolare- tre linee verticali ricurve unite da una orizzontale- simile al simbolo con cui si raffigura in modo stilizzato Urano. Poco dopo, una serie di lettere dattiloscritte contrassegnate dal medesimo simbolo furono inviate a Fernando Sesma Manzano, fondatore di un’associazione ufologica: gli autori delle missive dicevano di essere un gruppo di Ummani (o Ummiti), esponenti di una civiltà extraterrestre in missione sulla Terra da un mondo lontano, e fornivano informazioni scientifiche. Con il passare del tempo, i destinatari aumentarono, sia in Spagna che in Francia, mentre i contenuti delle lettere si fecero sempre più filosofici. A riceverle, fu anche Petit. Molti sospettavano che tutta la storia fosse solo una bufala, anche tra gli stessi ufologi, fino a quando, nel 1993, lo stesso Peña si fece avanti ammettendo di essere lui la mente dell’imbroglio e l’autore di quei testi.
Eppure, nonostante questa confessione, lo scienziato francese non ha fatto marcia indietro. Anzi, ha ribadito di credere fermamente che quelle informazioni siano davvero di origine non terrestre. A partire dal 1990 ha scritto vari libri sull’ufologia, nei quali ha parlato di Ummo, e ha raccontato di aver ricevuto e letto quei documenti dal 1974, sostenendo di aver tratto proprio da lì ispirazione per il suo lavoro da scienziato e per sviluppare le sue nuove teorie. Affermazioni che gli hanno provocato l’ostracismo del mondo accademico che da quel momento in poi ha guardato con scetticismo, se non con vera e propria ostilità, alla sua attività di ricerca. Petit è diventato per tutti “l’astrofisico ufologo”, una definizione usata non certo come complimento. Tuttavia, lo scienziato francese non si è fermato e ha trovato altre forme per divulgare le sue idee. A partire dai fumetti: ottimo disegnatore, lo scienziato francese ha prodotto una serie di testi illustrati da vignette da lui stesso realizzate per spiegare nel modo più semplice possibile quei complicati concetti di fisica e astrofisica. Le sue strisce sono anche online, all’indirizzo https://www.savoir-sans-frontieres.com
Poliedrico, ironico, fuori dagli schemi: ho incontrato Jean-Pierre Petit qualche mese fa, a Firenze, quand’era ospite del convegno ufologico organizzato dal GAUS. Un’occasione per spiegare, ancora una volta, il suo concetto di cosmo, elaborato nel modello da lui denominato Janus, ma anche il ruolo dell’umanità nell’universo, il senso della missione degli Ummiti e la sua esperienza personale. “Sono coinvolto in un caso di contatto con uno o più gruppi etnici alieni. La mia è una lunga storia, è iniziata nel 1947, quando avevo 10 anni. Ed è andata avanti fino ad ora. La maggior parte degli uomini, quando vivono esperienze del genere, non sanno cosa pensare e si rifugiano nella religiosità. Io invece ho reagito da scienziato”, ha detto Petit al pubblico in sala.
Innanzi tutto, perché la Terra? Perchè – se davvero esistono – le civiltà aliene sono così interessate a noi, a questo minuscolo pianeta alla periferia della Via Lattea? “Per la sua situazione particolare. La collisione con un altro pianeta, in epoche remote, portò alla formazione della Luna, ma provocò anche un’enorme energia cinetica che sollevò il magma sottostante e portò alla separazione dell’unica terra emersa in diversi continenti e alla formazione delle catene montuose. Così si produssero tanti diversi eco-ambienti, con centinaia di specie animali differenti le une dalle altre, ma anche centinaia di differenti culture umane che si sono sviluppate una indipendentemente dall’altra”, spiega l’astrofisico. “Tutto ciò ha creato forti antagonismi e contrapposizioni, che hanno ostacolato la nostra evoluzione. Cosa che altrove, su altri pianeti, non è successo: ecco perché le altre civiltà compiono già i viaggi interstellari.”
Insomma, la storia geologica del nostro pianeta avrebbe condizionato la nostra storia come civiltà, ritardando i tempi dello sviluppo tecnologico. E gli Alieni più evoluti di noi sarebbero attratti tanto dalla nostra biodiversità ambientale- un unicum- quanto dal nostro arcaismo. Siamo interessanti da studiare. Secondo Petit, da tempo è iniziato nei nostri confronti un tentativo per innalzarci e migliorarci, condotto su due piani: alcune razze aliene stanno provando la strada dell’ibridazione biologica (così si spiegano, dice, le abduction e i prelievi forzati di DNA), mentre altre preferiscono tentare l’ibridazione culturale. Così avrebbero fatto gli Ummiti, inviando nozioni avanzate ad un ristretto numero di individui prescelti, per vedere come avrebbero reagito di fronte a quelle informazioni scientifiche. “L’esito di questo esperimento? Pari a zero, purtroppo. Le informazioni sono rimaste circoscritte a un piccolo gruppo di persone”, dice sconsolato.
Ma quale sarebbe la vera natura del cosmo? Il suo modello cosmologico Janus (ovvero Giano, come il dio bifronte della mitologia romana, che guarda al passato e al futuro contemporaneamente), contempla l’esistenza di due universi gemelli, uno speculare all’altro, con le frecce del tempo che vanno in direzione opposta. La teoria, sviluppata a partire dal lavoro del fisico russo Andrej Sakharov (secondo Petit, anche lui tra i destinatari delle lettere ummite), è nata nel 1977 come modello non relativistico. Nel 1988, Petit ha poi introdotto il concetto di velocità variabile della luce in cosmologia, lasciando invariate le leggi della fisica. Nel 1994, le due idee sono state integrate in un’unica visione. Più di recente, l’aggiunta della teoria dei gruppi dinamici ha spiegato perché l’inversione temporale vada di pari passo con l’inversione di energia e di massa. Lo dicevamo, concetti astrusi per chi non vive di matematica. Ma anche per gli esperti del settore, visto che lo stesso scienziato francese riconosce: “Da solo, non ci sarei mai arrivato. Impossibile elaborare queste teorie da terrestre.”
Ufficialmente, il caso Ummo si è chiuso dopo la clamorosa rivelazione di Peña. Ma non per Petit. Per lui, il contatto con quelle entità non si sarebbe mai concluso. Durante una pausa del convegno, mi ha raccontato alcuni aneddoti. Nel 1988, un pomeriggio si addormentò così profondamente da svegliarsi solo dopo 12 ore filate di sonno. Con suo stupore, trovò un segno sul ventre- come una cicatrice- che non ricordava di essersi procurato. Non ci pensò più, fino al giorno in cui- circa 8 anni fa- dovette sottoporsi ad un intervento di ernia addominale. Il medico, vedendo quella cicatrice, decise di incidere per capirne l’origine ed estrasse dal suo corpo una pallina bianca gelatinosa. La mostrarono a Petit e gli dissero che l’avrebbero mandata in laboratorio per analizzarla. “Bè, ovviamente, non l’ho più vista. A quanto pare, è sparita”, ha raccontato.
E ancora, due anni fa, l’ultima “visita” dei suoi amici extraterrestri:” Me li sono trovati in casa, erano in tre: due mi hanno tenuto fermo per le braccia, mentre un terzo mi ha fatto un check-up con uno strumento che mi ha irradiato. A quanto pare, è andato tutto ok, sono in forma!”, ha detto sorridendo. Ma chi sono, cosa vogliono, quali intenzioni hanno? “Non mi interessa saperlo. Mi vengono a trovare da quando sono bambino. Mi bastano le informazioni che mi hanno dato,” ha risposto scrollando le spalle. Inconcepibile, per me. Se mai mi trovassi di fronte a creature che sostengono di arrivare da un altro pianeta, vorrei invece sapere tutto di loro, li tempesterei di domande per poi condividere ogni dettaglio con il mondo intero. Glielo ho detto, quel giorno, forse con troppa foga. Petit si è messo a ridere, ha preso un foglio e una penna e ha iniziato a disegnare. Ha schizzato, velocemente, una vignetta nella quale ha espresso il suo pensiero a proposito. La conservo ancora. Ci sono due topi da laboratorio e uno dice all’altro: “Io lavoro per la stampa, ma perché non mi contattano, così potrei raccontare tutto…” Ecco quello che saremmo tutti noi, secondo Petit: solo cavie. E non spetta a noi decidere chi deve essere sottoposto agli esperimenti.