L’Ufologia compie 70 anni. Era il 1947, infatti, quando-proprio di questi tempi- si incominciava a parlare in modo sempre più insistente di strani oggetti avvistati in cielo dal movimento e dalla velocità anomali. I giornali del primo Dopoguerra dedicavano titoli e articoli a questi racconti. Un fenomeno mondiale, partito negli Stati Uniti con due episodi molto noti che fanno discutere ancora oggi e avvenuti a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro.

Il 24 giugno 1947 Kenneth Arnold, in volo sopra il Monte Reiner- nello Stato di Washington- alla ricerca di un aereo militare precipitato, riferì di aver osservato una squadriglia formata da nove velivoli dall’aspetto bizzarro: procedevano in modo irregolare, a scatti, quasi rimbalzando, a velocità molto sostenuta e riflettevano la luce del sole. Anche la loro forma era insolita: secondo quanto disse, prima alla stampa e poi all’Aeronautica militare, erano piatti, sottili, più larghi che lunghi, con una specie di coda a due punte. Uno in particolare- quello più grande- aveva la parte posteriore a forma di mezza luna. Utilizzò per la prima volta un termine poi diventato di uso comune: Flying Saucer, letteralmente “piattino volante”, tradotto da noi come “disco volante”.

“Quello è stato l’inizio di tutto”, mi ha detto il fisico americano Stanton T. Friedman, che ha dedicato gran parte della sua vita allo studio del fenomeno UFO. “Kenneth Arnold era un pilota civile, un uomo d’affari e sarebbe molto dura non tenere in considerazione quell’avvistamento. Era una persona rispettabile, un pilota esperto. Ha cronometrato il volo di quei 9 oggetti che ha visto passare tra una montagna e l’altra, ha fatto in tempo a capirne la distanza, la velocità: circa 1200 miglia all’ora. La velocità massima di un aereo all’epoca era di 700 miglia orarie! Disse che quegli oggetti volanti si muovevano come dei sassi piatti lanciati a pelo d’acqua… e dal quel momento molta gente utilizzò quel termine, Flying Saucer.”

“Esatto, da piatti volanti a dischi volanti… Nasce allora l’espressione, solo che i militari americani che incominciano ad occuparsi della questione non possono andare dietro ai dischi volanti e allora nasce la sigla UFO, Unidentified Flying Object, e questa è la storia. Però sono ormai sette decenni che la gente continua a vederli nei cieli di tutto il mondo, senza limiti di spazio e di tempo” rilancia Roberto Pinotti, decano dell’ufologia italiana. “Oggetti di forma, dimensioni e funzioni anche diversi, però sono sempre gli stessi, cioè le forme sono quelle: da un continente all’altro la gente vede sempre le stesse cose. Dunque c’è una costante ricorrente in tutti gli avvistamenti: è chiaro che un fenomeno visivo di questo tipo, se fosse infondato, non sarebbe arrivato fino ad ora.”

“Bisogna dire che all’epoca, però, l’Aeronautica statunitense non prese molto in considerazione le dichiarazioni di Kenneth Arnold. Fu solamente quando pochi giorni dopo anche alcuni piloti militari videro degli oggetti volanti e dissero che quelli disegnati da Arnold erano coerenti con quello che avevano visionato loro, allora i vertici dell’Air Force si posero il problema e iniziarono a preoccuparsi”, spiega il presidente del Centro Ufologico Nazionale Vladimiro Bibolotti. “Perché proprio in quel periodo ci fu la prima ondata di UFO: tra il giugno e il luglio del ’47 sono stati mesi caldi per l’ufologia.”

Un salto di due settimane ed ecco l’episodio che forse più di tutti ha colpito l’immaginario collettivo: il presunto crash di Roswell. Nella notte tra il 2 e il 3 luglio (ma altre fonti riportano come data il 4 luglio) qualcosa precipitò dal cielo nella zona di La Corona, a circa 100 chilometri dalla cittadina del New Mexico. Fu il proprietario di un ranch, William Mac Brazel, a trovare dei rottami nella sua tenuta e ad avvisare lo sceriffo. Pochi giorni dopo, esplodeva il caso: la stampa locale, citando come fonte il portavoce della base militare dell’Air Force di Roswell, parlava espressamente dello schianto di un disco volante. Notizia prontamente smentita dall’esercito, che mostrò in pubblico i resti dell’oggetto caduto spiegando che si trattava solo di un pallone sonda per la misurazione del vento in quota.

Solo molti anni dopo- tra il 1994 e il 1997, quando l’incidente di Roswell tornò in auge per una serie di indagini giornalistiche e anche per l’interesse dimostrato dallo stesso presidente Bill Clinton- l’Aeronautica militare statunitense pubblicò un rapporto dando la spiegazione ufficiale: l’oggetto precipitato vicino Roswell era un modulo del Progetto Mogul utilizzato nel primo Dopoguerra per monitorare le attività sovietiche in ambito nucleare. Un progetto Top Secret di spionaggio, insomma. Il modulo era molto grande: era formato da 20 palloni sonda e da riflettori radar e in totale misurava circa 100 metri. Questo spiegava perché i detriti si fossero sparsi in un’area tanto vasta. A bordo, ci sarebbero stati anche dei manichini- scambiati dai testimoni come corpi di alieni morti. Una spiegazione che non ha mai convinto gli ufologi, sicuri che sull’incidente Roswell sia stato operato un clamoroso caso di insabbiamento da parte delle autorità.

“Addirittura c’è un telegramma che aveva in mano il famoso generale Ramey, fotografato da lontano, ma che ora- con gli strumenti delle nuove tecnologie software- è stato transcodificato. Ed emerge la scritta: ‘ci sono 4 vittime, precipitato un disco’- ricorda Bibolotti- e non c’entra niente la versione che poi è stata pubblicata, ovvero che in realtà si trattava di un pallone del Progetto Mogul. E quindi ci domandiamo: quale dei due segreti era più importante? La risposta viene da sola, nella logica di come si copre una notizia. Pur di nascondere la caduta di un disco volante, hanno accettato di rivelare che facevano esperimenti militari di monitoraggio dei fenomeni radioattivi in alta atmosfera spiando l’URSS.” Aggiunge Roberto Pinotti: ” Io sono uno dei pochi in Europa, in Italia l’unico, che è andato ad indagare di persona sul caso, quando i testimoni principali erano ancora vivi, dal 1991 in poi, e quindi posso dire con assoluta coscienza che si tratta di una notizia che in nome della ragion di Stato ha coperto una serie di eventi ben precisi assolutamente reali. Lì è caduto qualche cosa che non aveva nulla a che vedere con quello che si è detto e che probabilmente costituisce parte di un grosso segreto di Stato che tuttora permane.”

Anche l’ingegnere francese Jean-Jacques Velasco (per molti anni ha lavorato per il CNES, il centro nazionale di studi aerospaziali ed ha diretto il GEPAN, l’organo creato per indagare sul fenomeno UFO) ritiene che sul caso Roswell non si stata detta la verità dalle istituzioni. “All’inizio pensavo che si trattasse di un fake o di un test fallito nel deserto del New Mexico, poi ho cambiato opinione. Dopo quarant’anni di studi, posso provare che si trattava di un artefatto estraneo al nostro mondo. Oggi penso che ci fossero almeno 400 testimonianze di prima e seconda mano, ma immediatamente l’Air Force e il Governo americano imposero il segreto su questa vicenda, perché questo evento avrebbe provocato conseguenze dal punto di vista sociale, ma non solo. Perché di fronte ad un oggetto di origine extraterrestre hai a che fare con una tecnologia differente e superiore ed è molto interessante farla propria. Ma ancora oggi, il Governo degli Stati Uniti non ha trovato la tecnologia, il tipo di materiale e di propulsione. Ancora oggi non è possibile riprodurre lo stesso oggetto.”