Doveva essere la pistola fumante dell’ufologia, è diventato un clamoroso boomerang. A pochi giorni dalla presentazione ufficiale delle foto di una presunta creatura aliena, mostrata in diretta streaming in tutto il mondo, sono arrivate le scuse di uno dei ricercatori coinvolti: ha ammesso pubblicamente di essersi sbagliato, aprendo le porte ad un seguito di polemiche e contestazioni.
Ma andiamo con ordine. Le immagini sono le ormai famose diapositive Kodachrome rinvenute nella soffitta di una abitazione in Arizona, di proprietà di una coppia, Bernard e Hilda Ray. A qualche anno dalla loro morte, le foto sono finite nelle mani di Adam Dew : ipotizzando un qualche legame con l’ UFO crash nel New Mexico del 1947, il giornalista ha contattato alcuni ricercatori alternativi per avere un loro parere. Donald Schmitt, Thomas Carey e Anthony Bragalia, che hanno dato vita al cosiddetto “Dream Team” per unire i loro sforzi alla ricerca di prove sul caso Roswell, hanno così iniziato a studiare quelle immagini insolite.
In due di esse, compariva infatti un corpo di piccole dimensioni, molto esile, con una testa sproporzionata, apparentemente sottoposto ad una autopsia e collocato in una teca di vetro, tanto somigliante ad un classico E.T. del tipo “grigio”. Per molto tempo- pare addirittura per 5 anni- hanno sottoposto le slide ad una serie di test per verificarne l’autenticità e la probabile datazione. Hanno chiesto anche il parere di medici forensi e patologi, per appurare la natura dell’essere fotografato. E hanno svolto indagini sui signori Ray, sulle loro conoscenze, sui loro possibili collegamenti con Roswell.
Insomma, a prima vista un’inchiesta approfondita, seria, puntigliosa. Ad un certo punto, la notizia dell’esistenza di queste immagini è trapelata e lo stesso Bragalia nel 2013 è intervenuto per garantirne la straordinaria importanza rivelando anche le enormi pressioni subite perchè fossero rese note. Dopo ulteriori verifiche, è così arrivato il grande giorno, il 5 maggio 2015, annunciato in tv da Jaime Maussan, il noto giornalista messicano che ha lavorato in sinergia con il gruppo di ricercatori statunitensi. È stato lui a presentare la serata, con grandi ospiti in sala nell’Auditorium Nazionale di Città del Messico e con altri in collegamento dagli Stati Uniti.
Come ampiamente anticipato dalla stampa, i tecnici incaricati di analizzare le Kodachrome hanno confermato senza ombra di dubbio che si trattava di immagini originali, risalenti agli anni 1947/1949 (l’epoca dell’Incidente di Roswell) e sicuramente non manipolate oppure elaborate al computer. Gli esperti scientifici hanno invece stabilito che quel corpo non poteva essere assolutamente umano: apparteneva ad una creatura adulta, anche se di dimensioni ridotte (appena un metro e 20), vittima di una serie di traumi compatibili con uno schianto aereo e con molte anomalie a livello anatomico.
Ma a sole 48 ore dalla serata in pompa magna di Città del Messico, è esplosa la bomba mediatica. Qualcuno si è preso la briga di applicare un programma chiamato “SmartDeBlur” alla foto del presunto alieno. E… sorpresa! La targa sulla teca di vetro, prima ufficialmente illeggibile, è diventata di colpo fin troppo chiara. Questa la frase scritta in inglese: “Corpo mummificato di un bimbo di 2 anni. Al tempo della sepoltura, il corpo indossava una ( incomprensibile) camicia di cotone. L’involucro funerario era formata da queste piccole coltri in cotone. Dato in prestito dal signor (incomprensibile) di San Francisco, California.”
Dunque, quel corpo- evidentemente conservato in un museo- era quel che rimaneva di un bambino mummificato. Il 10 maggio, con un articolo pubblicato online, Bragalia ha confermato la fondatezza di questa spiegazione che smentisce il lavoro del “Dream Team”. Ecco le sue parole. “La scorsa notte, ho scoperto che questa interpretazione del testo è corretta. Ho trovato nel volume VIII del settembre 1938, Numero 1, del Mesa Verde Notes che fu pubblicato dal National Park Service, un articolo che ha risolto in modo definitivo il mistero delle Diapositive di Roswell.
Al paragrafo 4 della sezione della pubblicazione intitolata “Attorno a Mesa”, ho trovato questo: <Una splendida mummia è stata di recente ottenuta dal Park Museum quando il signor S.L.Palmer Jr di San Francisco ha reso quanto suo padre aveva sottratto dalle rovine nel 1894. La mummia è quella di un bimbo di 2 anni ed è in eccellente stato di conservazione. All’epoca della sepoltura, il corpo era rivestito con una camicia di cotone infilata e tre piccole coltri di cotone. Frammenti di essi sono ancora sulla mummia.> “ Il Parco Nazionale di Mesa Verde, in Colorado, è patrimonio culturale dell’Unesco: qui, a partire dal VI secolo d. C., si insediarono gli Anasazi o Popoli Ancestrali, antenati delle tribù Hopi e Zuni.
Bragalia prosegue negando cattiva fede o volontà di inganno da parte sua e dei suoi colleghi: è stato solo un errore, grave, ma un errore. E aggiunge, come giustificazione, un dettaglio: ha avuto modo di visionare le immagini del presunto alieno- rivelatosi poi una mummia umana- solo in bassa qualità, non in quell’alta definizione dalla quale è stato possibile decifrare le parole indicate sulla targa, perche Dew non le ha rese disponibili. Infine, le scuse: il ricercatore le rivolge ai Nativi Americani, per aver involontariamente spettacolarizzato il corpo di un loro figlio, nato e morto nei secoli passati.
Questa la cronaca dei fatti che solleva molti, legittimi interrogativi. Primo tra tutti: come è possibile che ricercatori famosi sottopongano le due foto a decine di test senza interpretare anche la targa che compare su di esse? Hanno passato al vaglio tutto di quella pellicola- emulsioni, dimensioni, colori, datazioni…- ma nessuno ha analizzato l’elemento più evidente? Certo, Bragalia ci spiega il perché: la scritta risultava indecifrabile perchè non hanno avuto da Dew i formati giusti . E allora, su cosa gli esperti hanno svolto le loro indagini tanto approfondite? Su copie sfocate?
C’è molto che non torna in questa vicenda. Anche nella tempistica. Ci sono voluti anni per rendere pubbliche quelle diapositive, anni nei quali il Dream Team -dice- ha svolto tutti i controlli possibili. Ma ci sono volute poche ore per smontare tutto il loro castello. Verrebbe quasi da pensare che qualcuno la verità l’avesse già scoperta da tempo, ma abbia comunque aspettato il momento migliore per rivelarla, subito dopo l’annuncio ufficiale, la “serata storica” dell’Auditorium Nazionale, per poter dare così più enfasi alla smentita.
Curioso anche che Anthony Bragalia sia riuscito a trovare praticamente subito la conferma della reale identità della mummia in quel paragrafo di quel volume di quella rara pubblicazione edita quasi 80 anni fa. Tra l’altro, ora i membri del Dream Team affermano di non averlo mai conosciuto di persona, di aver avuto con lui solo lunghi contatti telefonici. Nessuno nell’ambiente della ricerca alternativa americana lo avrebbe mai incontrato in convegni e meeting, nessuno sa che faccia abbia. Strano.
E poi, perchè rivolgere le proprie scuse ai Nativi americani? I nostri musei sono pieni zeppi di teschi, ossa ed interi corpi umani: basta pensare alle mummie più famose, quelle egizie, esportate ovunque. Però nessuno ha mai chiesto perdono per la loro esibizione pubblica. Vengono considerate testimonianze storiche- pur se di dubbio gusto, trattandosi di persone decedute. Perché quella piccola mummia è diversa dalle altre? Forse sarebbe stato più onesto, da parte di Bragalia, rivolgere le proprie scuse a tutti i lettori, a tutti gli utenti del web, a tutti gli appassionati di argomenti alternativi- che ora si sentono un po’ presi in giro.
Non è stato un inganno- giura lui- solo uno scambio di persona. Credevamo che fosse E.T. invece era un bimbo di due anni. Be’, un ufologo può sbagliare, non è un anatomopatologo, non ha le competenze specifiche per stabilire la natura di quell’essere minuto. Ma che dire degli scienziati interpellati? Di quei medici forensi che davanti a migliaia di persone hanno assicurato che la creatura non poteva essere umana? Lo ha detto esplicitamente il dottor Josè de Jesus Zalce Benitez – esperto di Medicina Forense della Scuola Militare dell’Esercito messicano- in virtù delle anomalie anatomiche riscontrate- solo 4 rispondenti a malformazioni riconosciute dall’OMS.
Il medico canadese Richard Doble, ex collaboratore della Regia Polizia a Cavallo di Ottawa, e lo specialista di medicina interna della UNAM Luis Antonio de Alba Galindo hanno concordato sul fatto che l’esserino non poteva essere un mammifero e che non presentava caratteristiche umane. Alla luce di quanto è emerso ora, di quella scritta letta con “SmarDeBlur”, che dovremmo pensare? Togliamo loro la laurea? Oppure ne deduciamo che fare analisi dettagliate su una foto è impossibile anche per professionisti competenti e di provate capacità? E magari che senza un corpo reale, senza un DNA da sottoporre a test di laboratorio, qualsiasi ipotesi (qualsiasi) resta una mera congettura?
Sul web, sono molti ad attaccare i promotori della serata del 5 maggio. E non solo gli scettici, che fin dall’inizio avevano dato per scontato che la creatura fosse solo una mummia umana. I più accaniti ora sono proprio i “colleghi” ufologi, che puntano il dito contro Maussan e gli altri, colpevoli di aver orchestrato una truffa. Accuse pesanti, che vanno ovviamente provate. Qualcuno, imputando agli organizzatori di aver ordito la bufala del secolo solo per far soldi, chiede anche la restituzione del denaro incassato. Sapevano, ma hanno taciuto sperando di farla franca e di arricchirsi.
Sicuramente l’evento del 5 maggio ha portato parecchie migliaia di dollari- tra biglietti del pubblico in sala e pagamento della diretta streaming. Tolti affitto dell’Auditorium, analisi tecniche, consulenze forensi, ospiti vip, non è detto però che il Dream Team ci abbia guadagnato. E comunque, 1000 o 10 mila dollari non valgono questa figuraccia mondiale. Ad oggi, ad aver subito un danno reale- soprattutto di immagine- sono proprio loro, gli esperti che ci hanno messo la faccia e che hanno assicurato di aver trovato la prova regina dell’Ufologia e che hanno toppato. Ora, ovviamente, sono sbeffeggiati da tutti, anche da chi fino a ieri li osannava. Così va il mondo.
Certo, risulta difficile pensare che giornalisti e scrittori di fama si siano esposti così, in prima persona, ostentando grande sicurezza, smentendo categoricamente spiegazioni alternative a quella extraterrestre. Hanno peccato, quanto meno, di grande ingenuità. La loro certezza era fondata sulla base delle perizie mediche e delle dichiarazioni di un ex militare, apparentemente l’ultimo testimone oculare ancora vivente dell’Incidente di Roswell. Ma la verità sembra ben altra.
La contesta ancora Adam Dew, il co-proprietario delle Kodachrome, sul quale Bragalia ha lanciato sospetti neanche troppo velati. Il giornalista ha replicato che la scritta sulla teca in vetro sarebbe stata aggiunta: insomma, il falso l’avrebbero creato i debunker, con Photoshop. Non resta che scoprire dove esattamente sia conservata la piccola mummia per avere l’ultimo riscontro oggettivo e scrivere la parola fine sulla vicenda che dimostra- una volta di più- quanto sia terribilmente scivoloso questo settore di ricerca, dove le bufale sono all’ordine del giorno.
Come il Santilli Footage, anche le Roswell Slides si sono rivelate un vero boomerang per l’Ufologia. Dovevano dare la prova certa della questione extraterrestre, hanno invece solo dato ulteriori elementi di dileggio e di scherno a quanti già ritenevano gli appassionati della materia solo dei creduloni e i ricercatori alternativi dei veri incompetenti. Allora – era il 1995- si trattava del filmato di una autopsia aliena falsificato da Ray Santilli, stavolta di foto malamente controllate. Rimane la curiosa coincidenza, visto che i due eventi hanno avuto in comune la stessa data, il 5 maggio. Ne siamo sicuri: in futuro, i ricercatori in possesso di uno strabiliante scoop su Roswell la eviteranno con cura.
SABRINA PIERAGOSTINI